Ogni giorno che passa, lo spettro dell’uscita disordinata della Gran Bretagna dall’Unione Europea si fa sempre più concreto. Questo significherebbe il ritorno delle tariffe WTO per tutti gli scambi commerciali da e per il Regno Unito, con disastrose conseguenze per l’industria della plastica non solo in Gran Bretagna, ma in tutta l’Unione Europea.
Le considerazioni presenti nel seguente articolo si basano sui più recenti dati presentati dalla BFP (British Plastics Federation) e sono liberamente consultabili online sul loro sito.
Lo spauracchio Brexit sull’industria della plastica
Con le sue 166.000 unità direttamente impiegate, l’industria della plastica risulta essere il terzo settore di impiego per i britannici. Se tale numero può sembrare elevato bisogna sottolineare che le industrie dell’auto, aerospaziali, elettriche, energetiche, medicali, operanti nel settori del packaging e agricoltura non esisterebbero senza l’enorme contributo delle materie plastiche.
Con un valore comprensivo di oltre 29 miliardi di euro, l’industria della plastica è uno dei settori più attivi e in salute dell’economia d’Oltremanica. Tale posizione è certo il frutto degli investimenti, che nel corso degli anni hanno portato alla definizione di molti dei procedimenti industriali e dei materiali attualmente usati, ma non solo.
Un ruolo fondamentale è stato infatti giocato dal continuo interscambio di conoscenze con l’Unione Europea. Interessante da questo punto di vista è sapere che quasi l’11% dei lavoratori impegnati nel settore provenga dall’UE. Di questi, il 19% è personale altamente specializzato (ingegneri, manager) e il 25% di medio livello (operai specializzati). La Brexit ha già portato una difficoltà nel settore in quanto, se prima del referendum la metà delle industrie dichiarava di avere problemi a trovare personale specializzato, oggi siamo saliti ai 2/3.
Brexit significherà per la Gran Bretagna avere difficoltà a interagire con il partner più importante. Il 65% dei prodotti in plastica che esce dalla Gran Bretagna finisce infatti nel mercato europeo. Le importazioni risultano essere addirittura superiori: il 69%.
Che impatto avrebbe una Hard Brexit sull’industria della plastica UK?
Quanto costerebbe quindi una Hard Brexit? Circa 10 miliardi di euro, il 35% del valore dell’intero settore.
Questo valore è frutto delle sole simulazioni in cui sono state applicate le tariffe WTO rispetto a quelle attualmente in vigore. Incalcolabili sono le perdite dovute al minor scambio di idee e progetti.
Risulta chiaro che l’industria plastica nel Regno Unito è fortemente influenzata dai rapporti con l’UE. Una Hard Brexit rischierebbe di far sprofondare un mercato fiorente, arrivando a minare l’integrità di tutta la filiera della chimica europea.
Tre industriali su quattro, direttamente interpellati della BPF, si definiscono altamente preoccupati per una Hard Brexit, consapevoli delle conseguenze che potrà avere sugli affari.
Per questi motivi, il direttore della BPF, Philip Law, ha personalmente scritto ai leader dei principali partiti. La sua lettera, pubblicata nel sito della Federazione con il titolo “L’industria della plastica dice ai politici: noi non vogliamo una Brexit senza accordi” sottolinea come “l’Unione Europea sia un mercato chiave, molte società del settore gomma e plastica hanno infatti filiali o capogruppo in EU”. “Invitiamo i partiti politici britannici a considerare con molta attenzione i risultati del nostro sondaggio e le ripercussioni di una Brexit no-deal”.
E in Italia?
Attualmente sono 23 i miliardi di euro che annualmente l’Italia ricava dall’esportazione di beni e servizi verso la Gran Bretagna.
Un’uscita senza accordo significherebbe una nuova applicazione dei dazi doganali e quindi la perdita di concorrenza. Secondo le stime di Assocomplast, il settore più colpito non sarà tanto la vendita di materiale plastico quanto, in massima parte, la meccanica strumentale. La Gran Bretagna è infatti il settimo mercato importatore di tecnologie italiane destinate alla lavorazione di plastica e gomma.
Si è stimato che una Brexit disordinata porterebbe a una diminuzione del volume d’affari complessivo di quasi 2 miliardi per i prossimi 3 anni. Se può sembrare una cifra elevata, si ricordi che le sanzioni europee alla Russia abbiano portato, nei primi due anni di applicazione, una perdita di 3.6 miliardi di euro all’export italiano.
Anche per questa ragione il clima generale fra gli imprenditori nel nostro Paese non è così negativo come fra i colleghi inglesi.
Bisogna inoltre considerare altri due fattori:
- Il mercato britannico è sicuramente importante per l’industria della plastica italiana ma non paragonabile al mercato europeo.
- Nei prossimi 10 anni si stima una diminuzione degli investimenti diretti esteri (IDE) verso il Regno Unito di 282 miliardi, che verrebbero dirottati verso altri mercati, compreso il nostro. Brexit dovrebbe infatti portare un aumento degli IDE verso il nostro Paese pari a 26 miliardi di euro, che si tradurrebbe in un aumento del PIL dello 0.4%.
Conseguenze incalcolabili
Tuttavia, tutti i calcoli e le previsioni qui elencate, trascurano un elemento fondamentale. Nessuna di queste elaborazioni matematiche può infatti considerare il venir meno del maggiore vantaggio che l’abbattimento delle frontiere europee aveva portato: il libero scambio di idee e conoscenze. Incalcolabili sono al momento le conseguenze. Solo l’imminente termine del 29 marzo potrà dirci qualcosa in più.
Aggiornamento
Dopo una prima breve proroga di circa due settimane, l’11 aprile l’Unione Europea ha deciso di concedere alla Gran Bretagna una nuova proroga fino al 31 ottobre. L’obiettivo dichiarato è che venga approvato dal Parlamento inglese l’accordo negoziato negli ultimi due anni tra Londra e Bruxelles, per scongiurare così una Hard Brexit.